MAHMOUD DARWISH (13 marzo 1941 – 9 agosto 2008), è ritenuto uno dei più grandi poeti contemporanei in lingua araba.
Poeta della RESISTENZA palestinese, orgoglioso di essere palestinese, ma che non riteneva fosse una condizione necessaria per essere poeta: voleva essere cantore universale dell’amore e della libertà.
” Il poeta in una situazione di emergenza è necessariamente un politico, perchè anche la poesia entra a far parte della resistenza all’occupazione”
A guardare bene le cartine geografiche, il villaggio di al-Birwa, nella Galilea occidentale, non esiste più. Al suo posto si intravedono soltanto frammenti di pietre e distese di arena scottante. Difficile credere che proprio tra quella sabbia dura e ferma di una terra distrutta dalle truppe israeliane durante la Nakba – in arabo “catastrofe”, ad indicare l’esodo della popolazione palestinese durante la guerra civile del 1947-48 nella prima guerra arabo israeliana, che coincide con la nascita dello Stato di Israele – sia nato e cresciuto un poeta.
Eppure, Mahmoud Darwish è un bambino di appena sette anni quando è costretto a lasciare al-Birwa, insieme ai genitori Salim e Houreyyah Darwish, e dirigersi alla volta del Libano. Un cammino, una peregrinazione, che comincerà a costruire il curriculum di un esule nella sua stessa terra, il verbale di un ragazzo senza patria né destino, che abiterà la poesia trasformandola in patria per i milioni di palestinesi orfani della loro terra.
Un anno dopo rientra in quei luoghi conosciuti un tempo come casa, ora nota ai più come terra di Israele, nei termini di un sans papiers, di un clandestino. Una condizione che porta addosso come un peso ma che, ben presto, influirà sul suo linguaggio, trasformando un «io» proprio di un’ anima tormentata da un’infinita nostalgia in un «noi» che invece è abbraccio di una collettività ferita ed umiliata.
A MIA MADRE
Mi manca il pane di mia madre
Il suo caffè
La sua carezza
Che cresce con la mia infanzia
Giorno dopo giorno
Amo la vita
Perché se morissi
Non sopporterei il pianto di mia madre!
Accoglimi se un giorno diventero’
Mascara per le tue ciglia
E coprimi le ossa di erbe
Portate dal tuo candido seno¨
E stringimi forte
Con una ciocca dei tuoi capelli
Sperando di diventare un dio
Diventero’ un dio …
Quando tocchero’ il fondo del tuo cuore
E quando tornero’, usami come combustibile
Per rinvigorire il fuoco
Come filo da bucato sul terrazzo di casa
Perché non posso resistere senza le tue preghiere
Sono invecchiato
Ridammi le stelle dell’infanzia
Perché possa condividere coi giovani uccelli
La strada del ritorno
Verso il nido della tua attesa!
TI HO SCONFITTO, MORTE
O morte, siediti e aspetta.
Prendi un bicchiere di vino e non trattare.
Una come te non tratta con nessuno,
uno come me non si oppone alla serva dell’invisibile.
Prendi fiato… forse sei spossata da questo giorno
di guerra astrale. Chi sono io perche tu mi faccia visita?
Hai tempo di esplorare il mio poema? No. Non è affar tuo
Tu sei responsabile della parte d’argilla
dell’uomo, non delle sue opere o delle sue parole.
O morte, ti hanno sconfitta tutte le arti.
Ti hanno sconfitta i canti della Mesopotamia,
l’obelisco dell’Egizio, le tombe dei Faraoni,
le incisioni sulla pietra di un tempio ti hanno sconfitta,
hanno vinto, ed e sfuggita ai tuoi tranelli
l’eternità…
e allora fa’ di noi, fa’ di te ciò che vuoi.
PENSA AGLI ALTRI
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.
CARTA D’IDENTITA’
Ricorda !
la mia identità è araba
E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arriverà dopo l’estate.
ti irriti?
Ricorda!
la mia identità è araba,
e con I compagni della miseria lavoro in una cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e I libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Né mi umilio sui gradini della vostra camera
Perciò, sarai irritato?
Ricorda!
la mia identità è araba,
Ho un nome senza soprannomi
vivo con pazienza in paesi
La cui gente è arrabbiata.
Le mie radici
esistono da prima delle ere,
da prima dei cipressi e degli olivi
da prima che crescesse l’erba.
Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,
Non da un ceto privilegiato
e mio nonno, era un contadino
né ben cresciuto, né ben nato!
mi insegnò la dignità
Prima di insegnarmi a leggere,
la mia casa (da guardiano) è semplice
fatta di canne e rami
sei soddisfatto del mio stato?
Ho un nome senza titolo!
Ricorda!
la mia identità è araba,.
le mie caratteristiche sono
capelli color carbone
occhi color marrone
la testa avvolta in una kefyah
ruvido come la pietra il palmo della mia mano
graffia chi lo tocca.
e il mio indirizzo
è quello di un villaggio abbandonato
le sue strade non hanno nomi
e tutti I suoi uomini sono a lavorare la pietra
Questo ti fa irritare?
Ricorda,
la mia identità è araba
E tuhai rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
E il vostro governo prenderà anche queste,
Come si era sentito dire.
Perciò!
Scrivilo in cima alla tua prima pagina:
Io non odio la gente
e non ho mai abusato di alcuno
ma se avrò fame
mangerò pure la carne del mio boia
Attenzione…Guardati!
dalla mia collera
E dalla mia fame!
(Traduzione Khalil Tayeh 4-6-2015)
PROFUGO
Hanno incatenato la sua bocca
e legato le sue mani alla pietra dei morti.
Hanno detto: “Assassino!”,
gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere
e lo hanno gettato nella cella dei morti.
Hanno detto: “Ladro!”,
lo hanno rifiutato in tutti i porti,
hanno portato via il suo piccolo amore,
poi hanno detto: “Profugo!”.
Tu che hai piedi e mani insanguinati,
la notte è effimera,
né gli anelli delle catene sono indistruttibili,
perché i chicchi della mia spiga che va seccando
riempiranno la valle di grano.
UNA LEZIONE DI KAMASUTRA
Con la coppa incastonata d’azzurro
aspettala
vicino alla fontana della sera e ai fiori di caprifoglio,
aspettala
con la pazienza del cavallo sellato,
aspettala
con il buon gusto del principe raffinato e bello
aspettala
con sette cuscini pieni di nuvole leggere,
aspettala
con il foco dell’incenso femminile dappertutto
aspettala
con il profumo maschile di sandalo sui dorsi dei cavalli,
aspettala.
E non spazientirti. Se arriva in ritardo
aspettala,
se arriva in anticipo
aspettala
e non spaventare gli uccelli sulle sue trecce,
e aspettala
chè si sieda rilassata come un giardino in fiore,
e aspettala
chè respiri un’aria estranea al suo cuore,
e aspettala
fino a che non sollevi il suo vestito scoprendo le gambe
nuvola dopo nuvola,
e aspettala
e portala su un balcone per vedere una luna annegata nel latte,
e aspettala
e offrile l’acqua prima del vino e non
guardare il paio di pernici che le dormono sul petto,
” e aspettala
e accarezza lentamente la sua mano
quando poggia la coppa sul marmo
come se sollevassi la rugiada per lei,
e aspettala
e parlale come il flauto
alla coda spaventata del violino,
come due testimoni di ciò che il domani vi prepara,
e aspettala
e leviga la sua notte anello dopo anello,
e aspettala
fino a che la notte non ti dica:
Al mondo siete rimasti soltanto voi due.
Allora portala dolcemente alla tua morte desiderata
e aspettala….!
CANTANDO PER LE STRADE
Cantando per le strade, per i campi,
il nostro sguardo osserverà
dal posto più lontano
dal posto più profondo
dal posto più bello,
là dove non si vede che l’aurora,
e non si sente che la vittoria.
Usciremo dai nostri campi
Usciremo dai nostri rifugi in esilio
Usciremo dai nostri nascondigli,
non avremo più vergogna, se il nemico ci offende.
Non arrossiremo:
sappiamo maneggiare una falce,
sappiamo come si difende un uomo disarmato.
Sappiamo anche costruire
Una fabbrica moderna,
una casa,
un ospedale,
una scuola,
una bomba,
un missile.
E sappiamo scrivere le poesie più belle.
INNAMORATO DELLA PALESTINA
I tuoi occhi sono una spina nel cuore
lacerano, ma li adoro.Li proteggo dal vento
e li conficco nella notte e nel dolore
cosi la sua ferita illumina le stelle,
trasforma il presente nel futuro
più caro alla mia anima.Qualche volta dimentico
quando i nostri occhi si incontrano
che una volta eravamo
insieme, dietro le grate.Le tue parole erano una canzone
che io tentavo di cantare ancora,
ma la sofferenza si era posata
sulle fiorenti labbra.Le tue parole come una rondine
volarono via da casa mia
volarono anche la nostra porta
e la soglia autunnale
inseguendoti,
dove si dirigono le passioni ….I nostri specchi si sono infranti
la tristezza ha compiuto 2000 anni,
abbiamo raccolto le schegge dal suono
e abbiamo imparato a piangere la patria.La pianteremo insieme,
nel petto di una chitarra;
la suoneremo sui tetti della diaspora
alla luna sfigurata ed ai sassi.Ma ho dimenticato,
oh la voce è sconosciuta!
Ho dimenticato,
è stata la tua partenza
ad arrugginire la chitarra?
o è stato il mio silenzio?
Ti ho vista ieri al porto
viaggiatore senza provviste … senza famiglia.
Sono corso da te come un orfano
chiedendo alla saggezza degli antenati:
perché trascinare il giardino verde
in prigione, in esilio, verso il porto
se rimane, malgrado il viaggio,
l’odore del sale e dello struggimento,
sempre verde?
Ho scritto sulla mia agenda:
amo l’arancio e odio il porto,
ho aggiunto sulla mia agenda:
al porto mi fermai
la vita aveva gli occhi dell’inverno,
avevamo le bucce dell’arancio
e dietro di me la sabbia era infinita!
Giuro, tesserò per te
un fazzoletto per le tue ciglia
scolpirò poesie per i tuoi occhi
con le parole più dolci del miele
scriverò “sei palestinese e lo rimarrai”
Palestinesi sono i tuoi occhi,
il tuo tatuaggio
Palestinesi sono il tuo nome,
i tuoi sogni
i tuoi pensieri e la tua kefia.
Palestinesi sono i tuoi piedi,
la tua sembianza
le tue parole e la tua voce.
Palestinese vivi e palestinese morirai.
POTETE LEGARMI MANI E PIEDI
Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane,
luce dei miei occhi,
sarà scritta con le unghie,
con lo sguardo
e col ferro.
La canterò nella cella della mia prigione
nella stalla
sotto la sferza
tra i ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me milioni di usignoli
per cantare la mia canzone di LOTTA.
SI TRATTA DI UN UOMO
Cucirono la sua bocca
legarono le sue mani
alla roccia della morte
e dissero: “sei un assassino“.Gli tolsero il cibo, gli abiti, le bandiere
lo gettarono nella cella dei morti
e dissero: “sei un ladro“.Lo rifiutarono in tutti i porti
portarono via la sua piccola amata
e dissero: “sei un profugo“.O tu, dagli occhi e le mani sanguinanti!
la notte è effimera,
né la camera dell’arresto
né gli anelli delle catene
sono eterni.Nerone è morto, ma Roma no,
lotta persino con gli occhi!
e i chicchi di una spiga morente
riempiranno la valle di grano.
DIARIO DI UNA FERITA PALESTINESE
La mia bandiera è color nero
il mio porto è una bara
e la mia schiena è un ponte.Oh, autunno del mondo
che dentro di noi sei demolito
Oh, primavera del mondo
che dentro di noi sei generata.Il mio fiore è rosso
il mio porto è aperto
e il mio cuore è un albero!
La mia lingua è il mormorio dell’acqua
nel fiume delle tempeste, negli
specchi del sole e del frumento
e nel campo di battaglia.
Forse alcune volte ho smarrito l’espressione
ma sono stato – senza vergogna – splendido
quando ho scambiato il mio cuore con l’oceanoHo per te una parola, che non
dissi ancora:
l’ombra è sulla finestra, ed occupa la lunaIl mio paese è un poema,
in esso ero un suonatore
ma poi divenni una corda musicale!Il geologo è occupato,
analizza la sua roccia.
Cerca i suoi occhi
nelle rovine dei miti.
Vuole provare, che sono
un viandante senza occhi!
che non ho nemmeno una lettera
nel libro della civiltà!Ma continuo a seminare i miei alberi,
senza fretta, e a cantare per il mio amore.
PASSANTI FRA PAROLE FUGACI
O voi, viaggiatori tra parole fugaci
portate i vostri nomi,
ed andatevene.
Ritirate i vostri istanti dal nostro tempo,
ed andatevene.
Rubate ciò che volete dall’azzurrità del mare
e dalla sabbia della memoria.
Prendete ciò che volete d’immagini,
per capire che mai saprete
come una pietra dalla nostra terra
erige il soffitto del nostro cielo.
O voi, viaggiatori tra parole fugaci
da voi la spada … e da noi il sangue
da voi l’acciaio, il fuoco … e da noi la carne
da voi un altro carro armato … e da noi un sasso
da voi una bomba lacrimogena … e da noi la pioggia.
E’ nostro ciò che avete di cielo ed aria.
Allora, prendete la vostra parte del nostro sangue,
ed andatevene.
Entrate ad una festa di cena e ballo,
ed andatevene.
Noi dobbiamo custodire i fiori dei martiri.
Noi dobbiamo vivere, come desideriamo.
O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
Come la polvere amara, marciate dove volete
ma non fatelo tra di noi, come insetti volanti.
L’aceto è nella nostra terra finché lavoriamo,
mietiamo il nostro grano, lo annaffiamo
con le rugiade dei nostri corpi.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
un sasso … o una soggezione.
Prendete il passato, se volete, e portatelo
al mercato degli oggetti artistici.
Rinnovate lo scheletro all’ upupa, se volete,
su un vassoio di terracotta.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
abbiamo il futuro….e abbiamo
nella nostra terra, ciò che fare.
O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
Ammassate le vostre fantasie in una
fossa abbandonata, ed andatevene.
E riportate le lancette del tempo
alla legittimità del vitello sacro
o al momento della musica di una pistola!
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta
abbiamo ciò che non c’è in voi:
una patria sanguinante
un popolo sanguinante, una patria
adatta all’oblio o alla memoria ….
O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
E’ giunto il momento che ve ne andiate
e dimoriate dove volete, ma non tra noi.
E’ giunto il momento che vi ne andiate
e moriate dove volete, ma non tra noi.
Abbiamo nella nostra terra, ciò che fare
il passato qui è nostro.
E’ nostra la prima voce della vita,
nostro il presente … il presente e il futuro
nostra, qui, la vita …e nostra l’eternità.
Fuori dalla nostra patria …
dalla nostra terra … dal nostro mare
dal nostro grano … dal nostro sale
dalla nostra ferita …da ogni cosa.
Uscite dai ricordi della memoria
O voi, viaggiatori tra parole fugaci !…
Innamorato
Io innamorato sfortunato,
mi addormento e ti vedo apparire;
dormo per sfuggire ad un passato di paura;
dormo per dimenticarti;
dormo per dimenticare il mio Mausoleo
il primo grano nel mio campo all’inizio della terra;
dormo per capire che ti amo più di quanto so di amarti;
dormo per inserire i tuoi capelli in una nuvola
ti penso nel tubare dei piccioni e delle colombe;
dormo, per sapere in quale sale morirò
e in quale tenerezza di miele risorgerò. —
Il sogno dei gigli bianchi
…
Io sogno gigli bianchi
in un ramo d’olivo
un uccello che abbracci il mattino
sopra i fiori di limone …
Io sogno gigli bianchi
in una strada di canto
e una strada di luce…
Io sogno
e voglio un cuore buono
che non sia pieno di fucili
e un giorno intero di sole …
Voglio un bimbo che all’alba sorrida
non un pezzo di ricambio
in strumenti di guerra.
Son venuto per vivere il sole
che sorge, ma non quello che tramonta.
E non ho voglia di morire
e combattere donne e bambini …
Je suis de là-bas,
J’ai des souvenirs.
Je suis né comme naissent les gens.
J’ai une mère et une maison pleine de fenêtres.
J’ai des frères, des amis et une prison avec une fenêtre frisquette.
J’ai une vague que les mouettes ont dérobée.
J ’ai mon paysage favori.
J’ai un chaume, une lune au bord extrême du mot,
de la nourriture pour les oiseaux et un olivier immortel.
Je suis venu sur terre avant que les épées ne touchent un corps et en fassent un festin.
Je suis de là-bas.
Je rends le ciel à sa mère quand il pleure pour elle et moi je pleure pour que le nuage
me reconnaisse à son retour.
Pour rompre les règles j’ai appris tous les mots appropriés à la justice de sang.
J’ai tout appris de la langue, je l’ai démêlée pour former un seul mot: patrie.
Vengo da lì,
Ho dei ricordi.
Sono nato come le persone sono nate.
Ho una madre e una casa piena di finestre.
Ho fratelli, amici e una prigione con una finestra fredda.
Ho un’onda che i gabbiani hanno rubato.
Ho il mio paesaggio preferito.
Ho una stoppia, una luna all’estremità della parola,
cibo per gli uccelli e un ulivo immortale.
Sono venuto sulla terra prima che le spade toccassero un corpo e facessero una festa.
Io vengo da lì.
Do il cielo a sua madre quando lui piange per lei e io piango per la nuvola
riconoscimi al suo ritorno.
Per infrangere le regole ho imparato tutte le parole appropriate per la giustizia del sangue.
Ho imparato tutto dalla lingua, l’ho districato per formare una sola parola: patria.
(la tomba di Mahmoud Darwish a Ramallah)