Buenos Aires e Misiones 2

Tutti i sogni un giorno diventeranno realtà”

Ad ogni visitatore che entrava al centro di riabilitazione per bambini di Bosques, alla periferia di Buenos Aires, veniva consegnato un segnalibro, con un nastro bianco ed azzurro (i colori della bandiera argentina); sul mio c’era la frase “todos los suenos un dia se hacen realidad” il titolo. Vorrei anteporre queste parole di speranza all’esposizione di un breve resoconto del viaggio che il Centro di Formazione Milton Santos – Lorenzo Milani (con sede a Curitiba – Brasile ed a Cuneo) ha proposto ai suoi associati nello scorso mese di marzo, viaggio di conoscenza, di amicizia, di incontro, di svago, da cui ciascuno dei quindici partecipanti ha riportato qualcosa, tante cose che ancora di più lo legano a quella terra, ma soprattutto alle lotte dei poveri, alla condivisione, alla testimonianza.

Suor Renza (delle Giuseppine di Cuneo, come suor Rosa, suor Pasqualina ed altre infaticabili donne incontrate là), in occasione di una sua recente permanenza in Italia, ci aveva presentato, brevemente, la storia e la situazione argentine, con fatti e racconti di una vita trascorsa in quel paese – si trova là dal 1979 – conoscendone le tante positività ed i lati più problematici, ma soprattutto facendoci capire quanto ami quel popolo, quanto si sia impegnata negli anni vicino ai poveri delle periferie, desiderosa di accoglierci di persona in un contesto che le è familiare. Dal sogno della teologia della liberazione, alle vicende della dittatura, alla attuale crisi che ancora annienta le speranze, dalla attività di frontiera di queste religiose, con notevole assunzione di responsabilità, di compromissione con i poveri, senza avere le spalle coperte, quando prendono posizioni scomode, ci ha un po’ introdotti in quella società, in cui, senza particolari clamori, vive e lotta ogni giorno per la pace e la giustizia.

I più piccoli pagano per primi e arrivano più devastati alla richiesta di aiuto, la ricchezza è più sfacciata che da noi, nascono i quartieri privati, con il filo spinato sul muro di recinzione, i cimiteri privati, le scuole private, le cliniche private.

Non si può comprendere l’Argentina senza tenere conto del periodo 1976-1983”, così ci ha detto Washington Uranga (giornalista, vice ministro per lo sviluppo sociale per la provincia di Buenos Aires, professore di economia all’università di quella città, nonché amico del nostro amico Claudio Mondino) e già suor Renza aveva affermato: “Una società non può conciliarsi con se stessa e con gli altri se non c’è verità” riferendosi anche lei a quel periodo.

Si potrebbero assumere queste affermazioni quale introduzione alla visita dell’ESMA – Esquela de Mecanica de la Armada – dove ci ha accompagnate suor Rosa che già ci aveva accolti all’aeroporto di Buenos Aires qualche giorno prima.

Tanti di noi hanno visitato negli anni dei campi di concentramento nazisti…. qui abbiamo ritrovato la medesima organizzazione, addirittura nel solaio le medesime frasi dei prigionieri, il racconto e le testimonianze di analoghe torture, la stesse modalità di annientare le persone. Riflettiamo sul nostro ricordare, sulla memoria, sull’impegno perché il “mai più” che ci ripetiamo di fronte ai crimini passati e vicini a noi possa essere realtà! Eravamo particolarmente appesantiti e giustamente taciturni all’uscita dalla visita durata quattro intense ore.

Mariana Croccia, dell’Istituto Espacio para la Memoria, ci ha accompagnati nella visita, illustrandoci, nei minimi particolari, quanto accadde negli spazi che stavamo attraversando. Si tratta di un edificio, un complesso di edifici, in un parco cittadino, ceduto alla Marina nel 1924 da comune di Buenos Aires, con la clausola di mantenerne la “finalità educativa”. Di fatto era una scuola militare, con giovani allievi che arrivavano da tutta l’Argentina e si trattenevano lì. Pur mantenendo questa finalità, dal 1976 al 1983, funzionò come centro clandestino di detenzione. Situato in pieno centro della capitale, è stato il centro più importante; fin dagli anni ‘50 in questa sede si erano tenuti corsi di guerra “sporca”, contro i sovversivi, legato alla politica USA. Apprendiamo che erano stati i militari francesi a formare i militari in America Latina, francesi perché usciti dall’Algeria quando questa diventa indipendente. Emerge la pianificazione di quello che sarà il golpe che aprirà la strada alla più grave dittatura dell’America Latina quando la nazione era di fatto già sotto controllo militare, “preparata” all’avvento della dittatura. I centri di detenzione clandestina erano presenti in tutto il paese. Cinquemila persone sono passate all’ESMA, la maggior parte delle quali è sparita, senza poter raccontare. “Ancora oggi, malgrado abbiano riconosciuto quanto accaduto, non hanno riconosciuto le responsabilità. La maggior parte di coloro che sono implicati in questo, ritiene di aver fatto il proprio dovere” ci spiega la ragazza.

Cinquecento bambini, ora trenta-trentacinquenni, non conoscono le loro storie, ad oggi solo 99 hanno ricostruito le loro origini. Era un piano ideato dai militari e questo è storia di oggi.

La chiesa non ha fatto la sua parte, si è compromessa gravemente con la dittatura, con i torturatori.

Le Associazioni hanno richiesto giustizia, mai cercando di agire per conto proprio, ma esigendo pubblicamente un riconoscimento dei fatti e delle responsabilità.

L’ESMA di oggi è il risultato di questa lotta e mobilitazione durata 30 anni, da parte di Associazioni di familiari e gruppi. Nel 2000 la legislatura vota che questo diventi spazio simbolico e nel 2007 se ne vanno gli ultimi militari.

E’ impressionante immaginare che al piano terra “passavano” quelli che saranno i desaparecidos e nello stesso spazio continuava ad aver sede il circolo ufficiali, con le attività connesse, passa anche la visita di una Commissione per i Diritti umani, in preparazione della quale vengono apportate modifiche strutturali e trasferiti in un’isola, di proprietà della Chiesa cattolica, un buon numero di prigionieri.

Nel 2004 viene aperto il sotterraneo: non c’è nulla in questo grande scantinato, solo alle pareti qualche lieve segno di chi è passato di qua e l’aria greve e pesante dei pensieri dei visitatori che si aggirano smarriti, immaginando, immaginando…. “era il primo posto dove venivano effettuati gli interrogatori – qui c’erano le sessioni di tortura” soggiunge Mariana.

Un prigioniero soltanto lo scorso anno, da una iscrizione che aveva lasciato sul muro, ha scoperto di essere “passato” di lì.

Nel sottotetto (capucha = cappuccio, perché i prigionieri erano incappucciati), prima del destino finale, ci sono i cartelli con le frasi che commentano in modo eloquente il sistema usato dall’organizzazione.

I sopravvissuti – ci spiega la guida – portano come un peso il fatto di essersi salvati, proprio come quelli che arrivavano dai campi di concentramento o dalla guerra e si trovavano a disagio di fronte ai parenti dei loro compagni morti, con un senso di colpa per aver salvato la pelle: perché io sì e gli altri no? Discorsi già sentiti vero! I prigionieri dovevano rimanere sempre in silenzio, tutti incatenati, con il cappuccio in testa, le guardie erano gli allievi della scuola… che ora hanno ora 50 – 60 anni e nessuno parla ancora! Ricordarsi fa parte integrante della resistenza di chi era qui.

Alla fine della visita la stanchezza si leggeva sui volti dei partecipanti e non solo stanchezza: c’è voluto un tempo per riprendersi, … le vicende sono vicine nel tempo… la storia dell’ESMA non è ancora completata…

Abbiamo incontrato suor Pasqualina a Puerto Piray – al nord dell’Argentina, nella provincia di Misiones, lontana dalle grandi città, impegnata nella lotta con i poveri, nella ricerca-studio di rimedi alternativi alla medicina ufficiale e nella scelta delle “misture” di erbe e verdure che per i bambini sostituiscono i pasti sostanziosi di cui avrebbero bisogno.

Il giorno che ci siamo recati in periferia a Buenos Aires, nella poverissima stanza dove i bambini mangiavano il pasto, vicino ad un altro povero locale dove giocavano, con le inferriate alle finestre, per la violenza che la fa da padrone, c’era un ritratto del CHE alla parete, in adeguata posizione di rispetto. Me ne sono comprata una, semplice, povera, stampata su compensato, che non avevo mai avuto, da appendermi in casa, a ricordo del viaggio, ma anche dell’impegno incondizionato e radicale per i poveri, che non permette di stare in mezzo al guado, ma che costringe a scelte.

L’ho comprata nel piccolo museo in mezzo alla selva, dove ci siamo recati con suor Pasqualina – è vicino al paese in cui abita – museo da cercare perchè non è semplice arrivarci e che ricorda che il Che ha trascorso qualche anno lì da bambino.

Concluderei con due frasi che mi sono appuntata: “I bambini sono il futuro, ricordati che dietro le cose semplici esiste la felicità” era scritta grande in uno dei centri dove lavorano le nostre suore di Cuneo, assicurando almeno un pasto al giorno ai bambini del quartiere e: “E’ il sogno che obbliga l’uomo a pensare” di Milton Santos nella sala dove si è tenuto l’incontro con i rappresentati dei Movimenti popolari di Curitiba e ci si è confrontati – ormai senza traduzione – circa le attività del Centro di Formazione Santos-Milani, in uno spirito di confronto, accoglienza e scambio sinceri.

Costanza