Viaggio in Argentina e Brasile del Centro di formazione Santos-Milani
Don Flavio si era appena accovacciato, per terra, davanti ad un sedile circolare, per chiacchierare con tre persone del gruppo, senza dare loro la schiena … si avvicina una ragazza, in divisa, accompagnata da un suo collega, e lo invita, in modo gentile e convinto, ad alzarsi, indicandogli di accomodarsi anche lui sulla panchina. Siamo al centro, a San Paolo, in Brasile, in una galleria commerciale che si affaccia sull’avenida Paulista, i negozi sono eleganti, le vetrine colme di prodotti, non sta bene che una persona sia seduta per terra. Quale contraddizione! A poche fermate di metropolitana, un ragazzo cade a terra, in mezzo alla strada che è isola pedonale, mentre passa un’auto della polizia, senza badarvi, ubriaco o tossicodipendente; poco distante un gruppo di adolescenti – una dei quali, giovanissima e visibilmente incinta – passa la sua giornata su giacigli improvvisati, sotto gli alberi del viale, senza che nessuno vi faccia caso, nel completo anonimato della città che non “vede” e corre veloce.
L’autista che a Buenos Aires ci accompagna in pulmino nel tour cittadino, illustrando il percorso, dopo averci portati nel quartiere di Boca – Caminito, quello delle piccole facciate coloratissime, del tango, dei caffè aperti sulla strada, dopo averci fatti risalire sul pullman, percorre cento metri di strada, fuori dal percorso turistico: ci sono le medesime case di lamiera, che paiono stare su per miracolo, quelle “di allora”, degli emigranti italiani, non ristrutturate, ora occupate dai nuovi poveri, gli ultimi emigranti che arrivano dagli stati confinanti dell’America Latina in cerca di fortuna nella metropoli. Ci consiglia di non addentrarci da soli in quelle strade!
A Buenos Aires, quando la sera rientravamo all’albergo, comparivano, anche in centro, accenni di povertà: i bambini che cercano e dividono la spazzatura accumulata durante la giornata, quelli che dormono sui marciapiedi con i loro genitori…
Qualche flash soltanto sull’esperienza di questo viaggio in Argentina e Brasile, organizzato dal Centro di formazione Santos-Milani dal 9 al 18 marzo, con l’accompagnamento affettuoso e sapiente di don Flavio e di Claudio. Si è trattato di un percorso interessante e bello, per quindici persone, di avvicinamento a realtà che alcuni di noi conoscevano ed altri incontravano per la prima volta.
Ci siamo divertiti, ci è piaciuto molto e riportiamo a casa motivi di riflessione oltre che di conoscenza. Abbiamo percorso strade affollatissime, assaporato paesaggi spopolati e verdissimi, riempiti gli occhi davanti alle variopinte bancarelle della frutta tropicale, cercando di portarci a casa almeno il gusto di quei succhi di frutta …
Determinante l’incontro con persone conosciute – missionari e missionarie, responsabili dei movimenti popolari – ritrovati nei loro luoghi di attività, contesti conosciuti a volte solo per lettera ed ora divenuti reali. Quanta gioia nell’incontro e quanta nostalgia nel commiato!
Suor Rosa, suor Renza e suor Pasqualina, Giuseppine, profondamente radicate in quel territorio e lavorando a stretto contatto con persone del posto, si spendono senza sosta né clamori, le prime due a Berazategui (periferia di Buenos Aires) e suor Pasqualina a Puerto Piray, nello stato di Misiones, a nord. Importanti e significativi i percorsi da loro intrapresi con i poveri, di conoscenza della realtà sociale-politico-economica, di coscientizzazione, di accompagnamento solidale nel riconoscimento e nella rivendicazione dei diritti basilari.
E’ forte e fa arrabbiare il contatto con la realtà di povertà estrema dei grandi agglomerati di catapecchie, che si allagano quando piove, alla periferia di Buenos Aires, ma anche altrove, in mezzo al fango, con le fogne a cielo aperto, dove governano violenza e droga, uguali negli anni, nonostante i governi che si susseguono. Si respira un’aria di affetto sincero incontrando i responsabili dei piccoli progetti di accompagnamento dei bambini nella refezione e nella scuola. Suonano appropriate le parole – riportate sulla tomba del vescono Novak (1928-2001), sepolto nella cattedrale di Quilmes – venerato dal popolo come un santo: “Amico di Dio e dei poveri, missionario instancabile, difensore dei diritti umani” e del dialogo interreligioso.
Costeggiamo un lungo muro, recintato con filo spinato, dove si entra attraverso una sbarra con telecomando: è un barrio di persone senza problemi economici, che pensa così di sconfiggere la violenza dilagante, di proteggersi e mi viene in mente una frase, letta alcuni anni or sono: “Il chiudere le vostre porte non ci chiuderà mai fuori, il chiudere le vostre porte può solo chiudervi dentro”.
Tutti ricorderemo, come coinvolgente e terribile, la visita all’ESMA (Esquela Superior de Mecanica de la Armada) a Buenos Aires, ora spazio per la memoria, inaugurato nel mese di ottobre 2007, come testimonianza del periodo della dittatura argentina (1976-1983) e prodotto della lotta di familiari di desaparecidos, associazioni, gruppi che si sono battuti perché non venisse distrutto. Questi edifici, oltre alle normali attività della scuola militare, furono il centro più importante di detenzione clandestina di quegli anni, dove iniziava il viaggio dei “dasaparecidos”, con interrogatori, torture, segregazione, in un fabbricato situato in pieno centro della città. La ragazza che ci ha accompagnati nella lunga visita non ha tralasciato alcun particolare di questi autentici calvari ed all’uscita si rifletteva sulla “memoria”, sull’essere andati lì per ricordare, per ricordare qualcosa accaduto in un tempo vicino a noi, aspetto che è ancora più coinvolgente ed impressionante. Come agire per non trovarci a dover fare memoria di simili avvenimenti?
Dallo spettacolo delle cascate Iguacu, raggiungiamo Puerto Piray ed incontriamo l’altra comunità di suore Giuseppine. Suor Pasqualina ci accoglie nella sua semplice casa e ci offre uno spaccato di questo piccolo centro, con due fabbriche, una di cellulosa ed una di legname (costruita lì dalla multinazionale che controlla di fatto tutte le proprietà della zona con la monocultura dei pini, perché crescono in fretta, impianto rifiutato dal Cile). Per raggiungere il paese attraversiamo una zona con poca popolazione, costellata di povere casupole di indigeni. E’ in questo ambiente naturale che visitiamo le Reducciones dei gesuiti e la casa, nella selva, dove visse per alcuni anni il Che bambino.
Con un viaggio di 700 chilometri arriviamo a Curitiba per l’incontro con la componente brasiliana del Centro di formazione Santos Milani. Il legame con i Movimenti popolari del Paranà, costituitosi negli anni e fortificatosi con gli incontri in Italia ed in Brasile, si respira al primo arrivo alla Casa do Trabalhador, dove ormai si è “di casa”. Il confronto e lo scambio riguardante le varie attività, avviene senza più traduzione! Il cammino di solidarietà, di approfondimento, di lettura del mondo è consolidato: “Lottiamo per le medesime aspettative del mondo” dice Ana Ines, salutandoci, quale motivo di vicinanza per rendere meno pesante il commiato.
L’incontro e l’accoglienza con la piccola comunità dell’Isola do Mel, dove vivono e lavorano padre Miguel e suor Jandira, ci offre uno spaccato della vita semplice dei residenti, impegnati nelle attività di accoglienza ai turisti che numerosi trascorrono, soprattutto i fine settimana, in uno spettacolo naturale di rara bellezza.
Nella parrocchia di san Pedro a Curitiba veniamo letteralmente travolti dall’accoglienza, dall’entusiasmo e dall’affetto che le varie realtà di chiesa dimostrano a don Flavio: la gioia dell’incontro contamina tutti i presenti.
Sia in Brasile che in Argentina, camminando al centro nelle grandi città pare impossibile che a poca distanza esista un mondo tanto povero, che non ha accesso a nulla di quanto si vede attorno, anzi, a volte non riesce a garantire un pasto al giorno ai propri bambini. La forbice tra chi può e chi non può, si apre sempre più e la contraddizione sembra insanabile.
A Curitiba, nella piccola chiesa, come nella grande parrocchia, nella sede dei movimenti popolari e nelle piccole comunità c’era un manifesto con la frase “A paz è o fruto da justica”: in queste poche parole il filo conduttore per leggere le realtà che abbiamo incontrato e per trovare la spinta alla prosecuzione del nostro impegno anche qui.
Costanza Lerda