Viaggio attorno al 25 aprile: la Scuola di Pace nei luoghi delle stragi naziste in Italia
Una giovane in bicicletta, davanti ad una casa signorile, è la copertina del libro scritto da Josef Indig sulla vicenda dei ragazzi ebrei ospitati a Villa Emma di Nonantola, storia a lieto fine di 73 ragazzi in fuga attraverso l’Europa, ospitati dall’estate del 1942 all’autunno del 1943 in questo paese in provincia di Modena, accolti e soccorsi dalla comunità, salvati dalla deportazione grazie alla solidarietà di una popolazione povera, forse neanche tanto istruita, che non si pose molte domande quando si trattò di agire. Ce lo hanno detto due anziani che ricordano come si inserirono nelle famiglie, quando si trattò di nasconderli e poi aiutarli a mettersi in salvo, con l’aiuto del parroco e del medico. Si sono dilungati nel racconto della situazione economica e sociale della loro comunità di quel tempo, di come entrarono in contatto con questi “ospiti” e di come li hanno “ritrovati” quando, a fine conflitto, hanno iniziato, regolarmente, a tornare a Nonantola per ripercorrere quell’esperienza, per ritrovare le famiglie, riconoscendone l’impegno di quel periodo.
Nello scorso aprile il viaggio della memoria – quello breve, di primavera – della Scuola di Pace e del Centro di formazione Milton Santos –Lorenzo Milani, come sempre organizzato dalla volontà infaticabile di Renzo Dutto, ha toccato la storia dei luoghi nei pressi della linea gotica del centro Italia.
Siamo arrivati a Sant’Anna di Stazzema (mese di agosto 1944, massacro di 560 persone da parte delle SS salite in queste frazioni delle Alpi Apuane), fatti rimasti “nascosti” per anni in quello che fu tristemente e giustamente denominato “l’armadio della vergogna”, poiché nascondeva da oltre quaranta anni documenti che sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia. Abbiamo visitato il museo, la piccola chiesa della frazione, l’ossario ed appreso il percorso che quella comunità negli anni ha costruito in memoria di quella storia e con l’impegno che simili tragedie non abbiano più ad accadere.
Non sapevamo che anche in Italia c’erano stati campi di concentramento; ce lo ha spiegato il responsabile del Museo della Resistenza di Sansepolcro, conducendoci nella zona di Renicci, vicino al borgo fortificato di Anghiari, posto attrezzato per rinchiudere antifascisti jugoslavi deportati in Italia, in una zona dove la popolazione non era consapevole di quanto accadeva poco distante dalle loro abitazioni.
Marzabotto accoglie i visitatori con un grande memoriale (su cui campeggia la scritta “Ricordate e meditate il nostro sacrificio”) e con il Parco di Monte Sole in cui le rovine dei luoghi teatro di quel massacro del settembre 1944 (771 le vittime) sono state risistemate per la visita soltanto dagli anni ’80.
In quelle borgate non sono più tornati a vivere, le hanno lasciate così, dopo il recupero dei cadaveri, le macerie inghiottite dalla vegetazione per decenni prima che si potesse pensare ad un percorso quale quello che abbiamo fatto il 29 aprile, in questo luogo di memoria, accompagnati da una guida fino al convento dove aveva scelto di vivere don Giuseppe Dossetti, padre della Costituzione, suo strenuo difensore, che riposa nel piccolo cimitero di Casaglia, a guardia di questi fatti ed a monito per i visitatori.
Il direttore del comune di Marzabotto, nonché direttore del Parco di Monte Sole ci ha fatto capire quanto questa loro pagina di storia abbia segnato la comunità. Ha soggiunto: “Ve ne andrete e non vi dimenticherete…tornerete”, osservando che gli abitanti di quelle zone “hanno avuto la forza di non considerare i tedeschi come responsabili, ma di cercare i responsabili”, percorso che ha loro permesso, ormai da anni, di accogliere gruppi di giovani tedeschi in visita per un cammino comune.
Abbiamo conosciuto la storia – presentataci ancora con zone di ombra, come sovente accade nella ricostruzione di fatti tanto significativi e forti per le comunità – della repubblica partigiana di Montefiorino, proclamatasi indipendente dal 17 giugno al 1^ agosto 1944.
Ed abbiamo concluso con un incontro al Museo Cervi, di Gattatico, vicino a Reggio Emilia, situato nella casa abitata dalla famiglia Cervi dal 1934. Ci ha introdotti nella storia di questo nucleo e del loro vissuto, nel contesto sociale dell’epoca, il giovane responsabile del museo: l’impegno innovativo nel lavoro agricolo, lo studio e l’antifascismo fino al massacro, da parte dei fascisti, nel dicembre 1943 dei sette figli maschi. La famiglia ha continuato a vivere in quel podere, coltivando la memoria di quei fatti; ricordiamo, a tal proposito, il vecchio padre deceduto nel 1970.
Si è trattato di giornate intense e faticose, fisicamente, ma soprattutto moralmente, perché è pesante accostarsi a questa storia recente; alcune esperienze più note, conosciute anche nella nostra città – Marzabotto e Sant’Anna di Stezzema – altre meno o del tutto ignote, ma ugualmente coinvolgenti, forse proprio per il fatto di non conoscerne l’entità e di scoprirne ancora di sconosciute.
Tutti i percorsi di memoria effettuati in questi giorni prevedono, non solo il ricordo e la salvaguardia dei fatti accaduti, ma vogliono essere di monito e di impegno per il futuro, rivolti soprattutto ai ragazzi ed ai giovani, italiani e stranieri che trovano in queste accoglienze e visite opportunità di riflettere sul futuro, partendo dal passato, ad esempio tedeschi a Marzabotto ed a Sant’Anna, per una riflessione comune, proprio perché sofferenze simili, episodi tanto cruenti e dolorosi non abbiano più a verificarsi.
Purtroppo il periodo che stiamo vivendo ci ha portati, anche in quei quattro giorni di visita e di incontri, ad interrogarci sulle vicende attuali, tempo in cui il nostro stato è implicato in fatti di guerra gravi e, per alcuni versi, ormai duraturi nel tempo – coinvolgimento che sottrae energia e risorse per interventi a favore dei propri cittadini, sottrae e distoglie impegno per la ricerca di una convivenza più solidale, divide l’opinione pubblica e ci pone l’eterna domanda se la storia non ci abbia insegnato nulla, soprattutto pensando a quanto sia difficile arginare o fermare la spirale della violenza una volta che si è innescato il meccanismo.
Costanza Lerda