A Tver, città a 150 chilometri da Mosca, una ragazza bionda legge, seduta su una sgangherata panchina sulla riva del fiume Volga, dove ragazzini vanno a nuotare. Sentendoci parlare ci chiede se ci siamo persi, è in vacanza, lavora in Italia da cinque anni e ci tornerà perché le piace il nostro paese. Quella riva del fiume è particolarmente trascurata e sporca, ma lei è lì, al sole della sua terra.
Lungo le strade di grande traffico si susseguono le bancarelle (una cassetta girata sottosopra) delle donne che vendono mirtilli, funghi raccolti nei boschi adiacenti, a volte le loro patate: arrivano in bicicletta e li espongono in vecchi barattoli, compresi, a volte, gli immancabili cetrioli.
Le periferie delle città sono tristi e trascurate, spuntano palazzi in mezzo ai prati di periferia: forse tutti hanno una casa ma ….. ma neanche una strada asfaltata che le raggiunge.
Non lontano dai palazzi popolari fumano “funghi” di centrali nucleari: per noi è strano così vicine ai centri abitati.
E si costruisce, si costruisce, strutture gigantesche, alveari, dalle forme più arrotondate di un tempo e colorate, enormi.
Sono state la tenacia e la determinazione di Renzo Dutto a permettere che si realizzasse nel 2013 questo viaggio; ha incontrato sul suo cammino alcuni decisi quanto lui, compresi Fabrizio ed Andrea i due autisti che, a conclusione del giro, hanno ringraziato per l’opportunità di “guidarci” nei diciotto giorni tra Austria, Polonia, Bielorussia, Russia, Ucraina, Ungheria, Slovenia…
E’ significativo perché ricorrono i 30 anni della Scuola di Pace (ed i compleanni si festeggiano!) ed i 70 da quel 19 settembre 1943 che ha segnato per sempre la storia di Boves. Ci voleva una iniziativa da ricordare, che segnasse un traguardo importante. Nel progetto del Centro di formazione Santos Milani e della Scuola di Pace i “viaggi della memoria” hanno da sempre rappresentato la possibilità di condividere un’esperienza con altri, una modalità diversa di accostarsi alla storia, alle culture, alle bellezze tramandate nei secoli ed alle vicende tristi e drammatiche che hanno connotato gli stati, le guerre, le persecuzioni, le invasioni e quindi le sofferenze dei popoli, nella convinzione che conoscere è il primo passo verso l’accettazione delle diversità e delle ragioni altrui.
Il viaggio in pullman di 8400 chilometri – pensato, studiato, immaginato da anni, coscienti di eventuali imprevisti (le strade dissestate, le frontiere ed i controlli ancora minuziosi e lunghi) – ha consentito un graduale avvicinamento al nuovo paesaggio, permettendo di cogliere particolari importanti: le cicogne nei nidi, nei campi, in volo, i contadini al lavoro, le campagne abbandonate, le distese coltivate dove non si scorgono paesi (e dove sono i contadini?), i villaggi in lontananza, piccoli, poveri, con i tetti coperti, in gran parte, di eternit.
Tutto è grande, smisurato, le strade a tante corsie, le città (Mosca 16 milioni di abitanti ufficiali), la campagna a perdita d’occhio fino all’orizzonte senza alture.
Ci siamo avvicinati, con una preparazione che è iniziata nei mesi invernali, cercando di non trascurare nulla di quanto si sarebbe incontrato: la storia, la religione, i costumi.
L’appuntamento a Boves, per la partenza, era al municipio, vicino al sacrario dei caduti dell’ultima guerra, compreso il Fronte russo da cui 100 bovesani non sono tornati: sento il disagio di paragonare le due partenze! Qualche giorno prima avevo dato uno sguardo al libro dei caduti bovesani (pubblicato nel 1973 a trent’anni dall’eccidio) riflettendo che per le nostre comunità (di alpini) la Russia vuol dire prima di tutto questo. Pur non avendo raggiunto il Don, a Suzdal (città dell’Anello d’oro, non distante da Mosca) un piccolo museo (voluto da un reduce italiano di Cles, in Trentino) ricorda i caduti in quella zona che erano in un campo di prigionia.
Prima di immergerci nella spiritualità ortodossa, abbiamo incontrato la forte fede cattolica polacca a Czestochowa e la memoria del ghetto degli ebrei a Varsavia.
In Bielorussia oltre a Minsk, la capitale, siamo approdati a Vitebsk, la città natale di Marc Chagall, ricordato in un piccolo museo allestito nella sua casa, con alle pareti i bozzetti della vita russa. Abbiamo altresì immaginato la comunità degli ebrei (1200 persone) salvatasi, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, per iniziativa dei fratelli Bielski, rifugiandosi nelle foreste bielorusse.
San Pietroburgo “ti entra dentro” un po’ alla volta, bisogna camminarci per assaporarne lo spirito e la bellezza, esagerata all’Ermitage, ma non meno ammagliante nelle piazze, nelle strade, nei canali, nei quartieri, soprattutto in questo periodo dell’anno delle “notti bianche”.
Oltre a Mosca, la grande capitale con i musei, le chiese, la metropolitana in cui perdersi per ammirarne le stazioni, i nuovi magazzini Gum, coloratissimi, Psok con il suo cremlino sul fiume, l’Anello d’oro con bellezze curate ed altre meno, i monasteri e le basiliche, le bancarelle con il pesce essiccato ed i lamponi.
Abbiamo sostato davanti alle icone, delle diverse scuole, ammirate nelle chiese o nei musei, parte integrante della storia nazionale russa, ricche di particolari, ognuno con un proprio significato.
Riportiamo l’emozione provata entrando nella tenuta di Lev Tolstoj a Yasnaya Polyana (vicino alla città di Tula). E’ ben conservato questo luogo con i ricordi dello scrittore che ha voluto essere sepolto in un semplice tumulo nel bosco.
In Ucraina siamo rimasti ammagliati da Kiev e dalla sua storia, raccontataci con la visita in un interessantissimo museo con la raccolta di quanto rinvenuto nei monumenti funerari degli abitanti del luogo del periodo avanti Cristo.
Leopoli, il cui centro storico è patrimonio dell’Unesco, si presenta ammantata da un velo di abbandono e tristezza melanconica, soprattutto la sua periferia, dove cerchiamo a fatica il monumento ai pogrom contro gli ebrei che pare siano morti in 136.000 nel ghetto e quasi 350.000 nei campi di concentramento dei dintorni (descritta da Gad Lerner nel libro autobiografico “Scintille” – da qui arrivano i suoi parenti da parte paterna).
Siamo consapevoli di aver camminato sulle strade che hanno segnato la storia dell’umanità, ci è servito per fare memoria anche della nostra storia; l’ostacolo della lingua non ci ha consentito di entrare direttamente in contatto con le persone che si incontravano. Abbiamo approfittato delle guide per cercare di conoscere un po’ più a fondo, chiedendo “del prima e del dopo”, non semplice in così poco tempo e soltanto con degli accenni. Il “periodo sovietico” non è rimpianto, le guide parlano di gruppi “nostalgici”, ma vengono riconosciute le difficoltà attuali, le garanzie che non ci sono più, il poter acquistare tutto (se hai dei soldi!) ma la forbice tra chi può e chi non può si amplia. I bambini e gli anziani sono quelli che più ci rimettono. Elena, a Mosca cita “l’altra vita” e Marina, a Kiev, inneggia all’indipendenza dell’Ucraina.
Anastasia, la guida di San Pietroburgo non è nostalgica ed ha concluso dicendoci: “La vita di oggi è difficile…. Siamo abituati a superare difficoltà e sopravvivere… troviamo modi ed andiamo avanti …” e ci ha augurato: “Che questo viaggio vi sia di impulso a leggere tanti libri (degli autori russi)… e se non comprendete tutto …. meglio…”.
Che cosa ci rimane ora, oltre alle fotografie, i ricordi, alle bellezze viste da vicino? A me rimangono i volti delle donne che vigilano i musei, di quelle nelle chiese ortodosse, nelle cabine delle stazioni della metropolitana: quasi tutte anziane, tante di corporatura robusta e bionde, sembrano uscite dai romanzi dei grandi scrittori russi e le anziane che vendono fiori di campo alle stazioni della metropolitana di San Pietroburgo (ma dove le andranno a raccogliere???). Mi rimane l’odore delle candele gialle votive che i fedeli accendono nelle chiese ortodosse ed i canti, di uomini e donne in questi luoghi di culto, particolarmente suggestivi nell’armonia e nelle voci, la devozione della gente semplice nei loro santuari.
Anche le mete meno conosciute, forse proprio queste, sono state la piacevole sorpresa e l’arricchimento curioso per il gruppo.
Non so, ad oggi, se ci saranno ancora altri viaggi (forse?), certo è stata l’occasione, per un piccolo gruppo (20 persone), di vivere un’esperienza significativa e ricca, di vicinanza tra di noi nella prospettiva di conoscere e di apprendere, di divertirci e di ridere, di sperimentare una “vacanza” diversa, di vedere e di ragionare su stili di vita differenti, in fondo di avvicinarsi agli altri, che è il primo passo per comprenderli e per amarli al di là della loro storia.
Costanza Lerda