Marcelo BARROS… un gradito ritorno (20 maggio 2015)

Sono uscita dall’incontro del 20 maggio 2015, alla sala San Giovanni di Cuneo, con una sensazione finalmente positiva e la fiducia che anche in pochi, anche le minoranze, sono importanti ed hanno senso nella società.

L’incontro ha visto il gradito ritorno di Marcelo Barros, voce dal sud del mondo, da quel sud di Helder Camara, di mons. Arnulfo Romero, realtà che interpella, mette in discussione le nostre sicurezze e sovente ci aiuta ad abbozzare risposte anche per noi, qui. Monaco benedettino, considerato uno dei maggiori biblisti e teologi dell’America Latina ha lavorato a stretto contatto con Helder Camara, sulla pastorale indigena e sui temi dell’ecumenismo. È stato per anni referente della pastorale della terra dove ha potuto rendersi conto delle condizioni di estrema povertà ed emarginazione dei contadini e ha sostenuto le battaglie del movimento “Sem terra”. Ha scritto parecchi testi sui temi della spiritualità, della pace, della giustizia e delle sfide che attanagliano la Chiesa.

In questo tempo storico in cui pare che l’interesse e l’impegno per la pace, la giustizia, la solidarietà non siano all’ordine del giorno, né dei grandi, né della gente in generale, ma alberghino in poche e sparute comunità o gruppi, sempre minoranze – quando ci guardiamo attorno – che paiono poco incisive o significative, ecco lui che ci incoraggia: “Mai lasciare che la speranza in me si svuoti… questa speranza non è ingenuità… Dio è più grande del cammino della storia umana, l’ultima parola è la parola dell’amore, della salvezza, della liberazione”.

Non lasciare cadere la profezia” gli aveva detto dom Helder Camara, vescovo di Olida Recife, diocesi del nord est brasiliano, commentando che queste non erano per lui parole, ma un impegno per trasmetterle come vocazione comunitaria.

Quale allora la nostra profezia oggi?

Il profeta non prevede, ma promette e la promessa è un “compromesso”, un impegno assunto con altri e di fronte ad altri, è un portavoce di Dio che è sempre una promessa, perché vuole il cambiamento.

La vocazione profetica è sovversiva e rivoluzionaria e la profezia ci assicura che possiamo cambiare sempre: nel cuore di ognuno di noi il deserto può farsi giardino.

Non può essere isolata, è comunitaria, di un gruppo, che trova le proprie radici nella fede, seguita dall’ascolto e dall’essere veramente “comunitario”. La comunità cristiana non presenta caratteristiche diverse dagli altri raggruppamenti, è anche quello il luogo delle difficoltà, dei conflitti. La sfida è mantenere la comunione in questa situazione.

La profezia va oltre; io ho bisogno di un confronto e l’altro rappresenta la mediazione fondamentale della profezia.

Più prego più ho capito che devo vivere una fede politica, un progetto che Dio ha per questo mondo, regno anche sociale e politico”. La profezia è umana, non solo religiosa, è il coraggio della speranza che viene dall’azione della fede, dalla certezza che Dio c’è ed è con noi. Non è ingenuità.

La scelta dei poveri non è perché sono meravigliosi, ma perché Dio è lì, io devo essere solidale. Io singolo entro in questo cammino”. Questa riflessione vale anche per il Brasile la cui speranza è ancora nel popolo.

Ci ha spronati a non demordere, a ricercare sempre, nel confronto costante, nel tentativo di conoscere e documentarsi, stando dalla parte dei deboli e degli impoveriti, con l’invito agli organizzatori della serata a disporre in modo diverso le sedie (in cerchio, per favorire la comunicazione reciproca e potersi guardare in viso mentre si parla e si conversa).

Non una parola di scoramento, non un accenno alla possibilità di lasciar perdere, di demoralizzarci, ma mantenere alta l’attenzione per l’oltre, verso un progetto più grande di noi in cui convogliare energie e da cui trarre la forza necessaria per continuare……., come d’altronde fanno i popoli in perenne ricerca di riscatto e giustizia.

Costanza Lerda