Aleida Guevara (21 marzo 2015)

Come potete permettere che vi tolgano i diritti fondamentali, di istruzione, salute…?”

Incontro con Aleida Guevara, figlia del CHE

Parla di cose grandi ed importanti, ma si commuove rievocando suo padre, il CHE, di cui conserva pochi ricordi dal vivo, lei nata nel 1960 con un padre che ha vissuto tanto in clandestinità ed assassinato nel 1967.

E’ militante attiva del Partito Comunista Cubano, medico pediatra a L’Avana, impegnata nel Centro studi che cura la memoria di suo padre, segue professionalmente centri che si occupano di bambini con handicap o in difficoltà, invita a leggere quello che ha scritto il Che perché “per conoscere Che Guevara bisogna leggerlo”.

Aleida ha fatto tappa a Cuneo nel corso del suo viaggio in Italia per incontrare tante realtà e gruppi, per il tramite della Rete Radié Resch, associazione di solidarietà internazionale fondata nel 1964 dal giornalista Ettore Masina, su ispirazione del prete operaio francese Paul Gauthier. Radié (Radia) Resch era il nome di una bambina Palestinese, morta di polmonite mentre era in attesa di una vera casa; con la famiglia infatti viveva in una grotta a Betlemme. Finanziare la costruzione di case per alcune famiglie Palestinesi è stato il primo progetto dell’associazione.

Aleida, ha spaziato dai ricordi della sua vita familiare, alla vita del padre, dal pensiero ed impegno politico di quest’ultimo, alla situazione del mondo attuale ed alla condizione economica/sociale della sua patria, “costretta” dal giogo delle potenze, ma non vinta.

E’ arrivata stanca per la cena alla comunità di Mambre, a Busca, la sera del 21 marzo; a qualcuno ha confidato l’affaticamento dovuto ai tanti incontri in Italia in questo soggiorno primaverile, in uno spostamento frenetico organizzato dagli amici italiani della Rete Radié Resch.

Ha accettato che le si potessero rivolgere domande personali, a cui ha risposto lasciando anche trasparire commozione sincera, come quando ha detto che poteva cantare soltanto la prima strofa del canto Hasta siempre, Comandante e lo ha fatto.

Si emoziona altresì ricordando il suo papà, in un momento in cui non era in clandestinità, mentre accarezza il capo del fratellino in braccio alla madre.

Si dichiara orgogliosa di essere vissuta in un posto che l’ha fatta crescere in umanità.

Tutti rivolti al ricordo del Che e lei ci ha parlato della sua eccezionale mamma, forte, che ha amato molto il padre e che non ha permesso che i suoi figli godessero di privilegi in quanto figli di …: “Sono orgogliosa di essere figlia dell’amore tra mio padre e mia madre” .

E del padre, uomo di grande cultura, sempre in ricerca, laureato, ma che ascoltava la gente e se ne arricchiva, uno che sapeva rispettare, ascoltare, dice: “Era un giovane medico che vedeva nel futuro il suo nome legato a qualche scoperta in ambito scientifico.. il suo lavoro gli ha fatto scoprire una malattia: fame, miseria, incultura e per cambiare questo ci vuole una rivoluzione”.

Parla di Cuba, del fatto che gli altri non possano commerciare con il suo Paese, che sia difficile avere il latte per i bambini, i medicinali arrivano dopo un viaggio lunghissimo di 3 – 4 intermediazioni.

Ma emergono altresì la lotta e la speranza nella ricerca convinta di un futuro interessante davanti, istruzione gratuita per tutti, sanità gratuita per tutti, ”abbiamo tante cose da risolvere, però è nostro diritto risolvere il nostro problema e non permetteremo che qualcuno intervenga sulla nostra indipendenza”.

E’ sua profonda convinzione che un popolo libero deve essere acculturato: “nessuno ti inganna, nessuno ti manipola, nessuno ti usa”; Cuba non ha molto, ma c’è la solidarietà (non dare in abbondanza, ma dare ciò di cui hai bisogno).

Ogni popolo vive la sua realtà, il Che diceva che bisognava lottare per la pace, ma una pace dignitosa e non c’è pace se un bambino muore di fame, o un uomo è senza lavoro e senza casa.

Aleida aggiunge che non è sufficiente trascorrere del tempo in un luogo – riferendosi alla sua personale esperienza di giovane medico in Angola: “Ho imparato da lì a rifiutare colonialismo, sfruttamento, razzismo, ho imparato a rispettare il popolo che non conoscevo…”.

Un accenno viene posto all’informazione che deve essere adeguata “per poterci svegliare”.

Ed emerge altresì la preoccupazione per noi, nel nostro mondo ricco, perché perdiamo i diritti di istruzione, salute: “Come potete permettere che ve li tolgano?

E’ tardi quando l’incontro si conclude, con Aleida che intona la strofa di una famosa canzone, prima di posare in foto con chi vuole immortalare questo momento.

Coltivo una rosa bianca, / a luglio come a gennaio, / per l’amico sincero / che mi dà la sua mano franca.
E per il crudele che mi strappa / il cuore con cui vivo, / né cardo né ortica coltivo: / coltivo la rosa bianca.
(Cultivo una rosa blanca, /En Julio como en Enero, / Para el amigo sincero / Que me da su mano franca.
Y para el cruel que me arranca /El corazón con que vivo, / Cardo ni urtiga cultivo: / Cultivo la rosa blanca.).

Di fronte a questa donna – che mi pareva impossibile fosse la figlia del Che – mi sono chiesta se sarei capace, se verrebbe in mente a noi del nord del mondo, anche tra i militanti, concludere la narrazione delle difficoltà in cui si è costretti a vivere intonando una canzone. L’ho interpretato come l’invito, non soltanto all’impegno ed alla condivisone politica, ma alla vita in generale, alla coltivazione del sogno che ritroviamo nello spirito latino americano che ci contagia ad ogni incontro con qualche suo rappresentante!

Costanza Lerda