I Balcani tra storia, arte, natura

Serbia, Kosovo, Macedonia, Grecia, Albania, Montenegro

Siamo qui ad interrogarci se ricordiamo gli stati di riferimento delle città visitate, dove abbiamo incontrato i monaci che parlavano l’italiano imparato dai nostri soldati, dove le monache che prendevano l’acqua alla fontana, dove gli affreschi più belli e l’atmosfera più raccolta, quale cameriere ci comprendeva meglio, dove il migliore caffè…. Ogni viaggio schiude scenari, sovente sconosciuti o solo in parte noti, ognuno cerca di cogliere quello che in quel momento suscita maggiormente l’attenzione o scuote le certezze con cui si era partiti.

I Balcani (o Bàlcani) come pronunciava Aimar, la nostra guida albanese, giovane ragazzo laureato e molto preparato, sono un insieme di stati, indipendenti tra di loro, ma con sconfinamenti rilevanti tra una frontiera e l’altra, sconfinamenti di popolo, di religione, di cultura, di abitudini, di storia. In Kosovo, dove esistono enclavi serbe nella maggioranza albanese, da moltissime case sventola la bandiera albanese (l’aquila a due teste su fondo rosso) e non il vessillo kosovaro.

Questo il viaggio, dal 1° al 14 luglio, della Scuola di Pace di Boves e del Centro di formazione Milton Santos – Lorenzo Milani, esperienza come sempre attenta alle vicende dei Paesi visitati, ma soprattutto rivolta alle storie delle persone che lì vivono.

Abbiamo cercato le testimonianze di Ibrahim Rugova (un parco cittadino a Pec, dove giovani famiglie rom passano la notte, la gigantografia sulla piazza principale di Pristina, la capitale del piccolo stato, la grande statua rivolta al palazzo del Parlamento), scrittore ed intellettuale, pacifista e statista del Kosovo. Il suo impegno politico appare un’esperienza interessantissima e poco studiata, come tutte le resistenze non violente, soprattutto se avvicinata alle vicissitudini delle formazioni armate kosovare (UCK), agli interventi esterni ed alla “guerra umanitaria”, termine coniato in quegli anni. Attraversando le frontiere abbiamo immaginato e ricordato le lunghe file di profughi ai confini, viste in televisione, povera gente sofferente.

Incantati davanti agli affreschi dei monasteri, ancora poco visitati, attorno a Pec: il Patriarcato di Pec e Decani, tuttora presidiati dalle forze KFOR (la Kosovo Force, forza militare internazionale a guida NATO)
con i soldati italiani a guardia di questi tesori e dove la sera vengono chiusi i portoni di accesso. A Gracanica, piccola enclave serba, il monastero è femminile ed è toccato ad una giovane monaca la spiegazione al gruppo, positivamente colpito dalla sua grazia e finezza nell’esposizione.

Era il periodo del Ramadan, ma ugualmente abbiamo avuto accesso a tante moschee, quasi tutte ancora attive, elegantemente dipinte o sobrie nell’arredamento, con Corani sparsi sui tappeti (anche nella versione per bambini) e fedeli in preghiera alle ore prestabilite.

Nel centro storico di Skopje, quelli che abbiamo chiaramente sentito in un pomeriggio assolato e caldo, non erano botti di festa, ma lanci di gas lacrimogeni per sedare l’ennesima manifestazione di protesta degli albanesi macedoni. Ce lo spiega il giovane macedone che indica il parcheggio per il pullman e lo “vigila” durante la pausa per il pranzo, aggiungendo che per loro non si tratta di una novità, chiarendo che la popolazione macedone è costituita da Serbi, Albanesi, Gipsi, Ungheresi, Turchi. Il nostro hotel si trova in pieno centro città, di fronte al ponte di pietra sul fiume Vardar, nella piazza principale con fontane luminose di sera ed un insieme di grandi statue, posizionate di recente, dopo l’indipendenza, in modo disordinato, almeno così appare ai nostri occhi di osservatori.

Mosaici del periodo romano affiorano nei siti archeologici, belli e poco protetti dalle intemperie del tempo, dove ancora si cerca e si studia.

Affascinanti le Meteore in Grecia, monasteri del cielo, visitate in un’assolata giornata, con sali scendi di scale e profumi di candele votive. Alla Grande Meteora, nel Museo, viene richiamato un pezzo di storia d’Italia, con le copertine della Domenica del Corriere che illustrano l’avanzata dell’esercito italiano fascista.

Paesaggi affascinanti e grandiosi, boschi a perdita d’occhio, fiumi, gole profonde, un mare incontaminato e blu, paesaggi mozzafiato di stati che si aprono al turismo ed all’esterno, sovente in modo disordinato e confuso, con costruzioni affastellate, senza alcun piano di costruzione. Persone gentili, molte, soprattutto in Albania, conoscono la nostra lingua, appresa grazie alle trasmissioni della televisione italiana.

Il Montenegro ci appare così: ampi spazi naturali, paesaggi mozzafiato sul mare e sul fiordo delle bocche di Kotor. Dall’alto del monte Lovcen, una specie di Olimpo dei montenegrini, simbolo della loro identità, si domina l’arido e roccioso altipiano, oltre il quale, con il bel tempo, si scorge il mare. Svetlana, la guida montenegrina, trasmette nozioni ed affetto per la sua terra ed appare entusiasta e commossa per il dono dei libri che le lasciamo. E’ lei a parlarci dei “dieci comandamenti” che si trovano stampati su magliette e cartoline, souvenir per turisti, uno dei quali recita: “se ti viene voglia di lavorare, riposati e ti passerà” e gli altri nove sulla stessa lunghezza d’onda.

Il commento alle vicende di questo ultimo periodo storico che hanno interessato i luoghi visitati, ci induce a pensare che è trascorso troppo poco tempo, che comunque dall’esterno non abbiamo tutti i dati per poter approntare un giudizio, le ferite in buona sostanza sono ancora aperte. Le persone con cui parliamo ci dicono che ora si vive in pace, ma forse basterebbe molto poco per acuire nuovamente le tensioni. Ci chiediamo come inserire la strada della nonviolenza e, soprattutto, è possibile? L’unica riflessione che ci aiuta: si tratta di un percorso lungo, anche per incarnarsi nella storia, percorso che non si può improvvisare in caso di pericolo. Occorre prepararsi ed esercitarsi in anticipo, prevenire, perché nell’emergenza bisogna comunque agire, non si può in sostanza arrivare a ridosso degli avvenimenti in modo disorganizzato ed improvvisare. L’esperienza di Rugova ci dice che si può tentare.

Statue, piazze, università sono dedicate a Madre Teresa di Calcutta (nënë Teresa), nata a Skopje in Macedonia, ma venerata in tutti i Balcani.

E se la cultura è giustamente un termine onnicomprensivo, allora parliamo di cucina, di cetrioli, di cetrioli immersi nello yogurt, di cetrioli in insalata, ma anche di prosciutto crudo, di pesce, di salse e di carni arrostite, di dolci turchi, di vino e birre, dei dolci che, in segno di benvenuto, ci aveva preparato Zaga, la nostra guida in Kosovo e Macedonia.

Bene ci avevano introdotti ai vari Paesi le dispense di Renzo, unitamente alle osservazioni di Alessandro Tonietta sull’incrocio di cultura, sugli intrecci trasversali nel paese degli Illiri; l’arte di questi territori, greca e mussulmana con infuenza ottomana, le caratteristiche del popolo balcanico fiero e duro, l’intreccio tra oriente ed occidente, tra nord e sud, da sempre luogo di incontro, ma anche di scontro, di scambio, ma anche di imposizione e di prevaricazione violenta.

Ogni comunità piange e ricorda i suoi “scomparsi”, come segno di una ferita profonda e recente: a Pec la vedova davanti al monumento ai caduti nel corso dell’ultima guerra balcanica, davanti al Parlamento a Pristina una serie di fotografie richiama l’attenzione su persone che non si sa dove siano finite, lo stesso abbiamo visto dal pullman a Gracanica.

Dai racconti delle guide emergono le difficoltà di questi stati: la disoccupazione, l’arricchimento di pochi in breve tempo, le difficoltà per affrontare spese di casa e di studio, ripensiamo alle drammatiche emergenze profughi susseguitesi in questi stati a partire dai primi anni ’90 e vediamo in questi giorni i rom in Albania, ai bordi della strada, in baracche coperte di teli di naylon neri, i raccoglitori di cartone e di bottiglie di plastica, i bambini che, tenaci, chiedono l’elemosina, le donne rom con i loro figli piccoli (anche troppo piccoli!) che con insistenza ti fermano per strada o tormentano gli occupanti delle auto in coda ad una frontiera (non a noi perché siamo in alto, sul pullman!!).

E finiamo a Dubrovnik, la città murata, distrutta all’inizio della guerra nei Balcani e ricostruita nei minimi particolari, affollata di turisti, che ha organizzato le sue iniziative culturali con il titolo di “muri di pietra …cuore di arte – walls of stone heart of art”.

Percorrendo queste contrade, a noi vicine, ricche di storia, di sofferenza, di eventi che si ripetono nei secoli, di disgregazioni ed aggregazioni, di invasioni e di sottomissioni, leggo Ivo Andric (premio Nobel per la letteratura nel 1961, nato nel 1892 a Travnik – Bosnia – e morto nel 1975 a Belgrado). Il suo racconto “I ponti” del 1963 termina così:i ponti “diventano tutti uno solo e tutti degni della nostra attenzione, perché indicano il posto in cui l’uomo ha incontrato l’ostacolo e non si è arrestato…. Così, ovunque nel mondo, in qualsiasi posto, il mio pensiero vada o si arresti, trova fedeli e operosi ponti, come eterno e mai soddisfatto desiderio dell’uomo di collegare, pacificare e unire insieme tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi, perché non ci siano divisioni, contrasti, distacchi…….Tutto ci porta a superare qualcosa, a oltrepassare: il disordine, la morte o l’assurdo. Poichè, tutto è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono nell’infinito e al cui confronto tutti i ponti di questa terra sono solo giocattoli da bambini, pallidi simboli. Mentre la nostra speranza è su quell’altra sponda”.

Costanza Lerda